“Ginin”, crocerossina e partigiana
2 aprile 2020
L’anno scolastico scorso l’insegnante di storia ha chiesto alla classe di mio nipote Eric di raccogliere testimonianze presso familiari di notizie dei tempi passati. Ci siamo accordati che gli avrei raccontato di mia zia partigiana, un modo per lui di avere un po’ di notizie sulla nostra famiglia e per me di mettere insieme ricordi, appunti e documenti sparsi che non avevo prima riordinato*.
Giannina Ottolini “Ginin”
Ricerca familiare di Eric Realini [1]
Note biografiche essenziali
Giannina Ottolini (1904 – 1997)
Giannina, crocerossina e partigiana col nome di battaglia “Ginin”, faceva parte della brigata Stefanoni – Divisione Valtoce che operava sopra Stresa, sul Mottarone. Era la zia di mio nonno.
Era nata a Pallanza il 15 aprile 1904 e deceduta il 21 aprile 1997; è vissuta a Stresa nella casa di famiglia di Via Al Castello, nubile. Cattolica praticante era Terziaria francescana.
Il Racconto di mio nonno Gianmaria
Ho un ricordo molto vivo di mia zia. Era un donnino minuto ma dal carattere forte e determinato. Andavamo spesso a trovarla nella sua casa di Stresa, un appartamento ordinato e pieno di bellissimi oggetti di una volta: mobili di noce, quadri (alcuni dipinti da lei), soprammobili, ecc. Ricordo in particolare un bellissimo binocolo da teatro in madreperla e manico argentato. In un cassetto nella sua camera teneva sempre dei giocattoli che regalava ogni volta a me e ai mie fratelli quando eravamo piccoli e, anni dopo, ai miei figli quando ritornavamo a trovarla.
Parlava raramente della sua esperienza di partigiana e perlopiù in termini generali sui valori della resistenza e sui motivi per cui “non riusciva a sopportare” il fascismo. Quando insegnavo al Cobianchi con una collega ricercatrice storica (Gisa Magenes di Omegna) abbiamo organizzato una sua intervista; nemmeno in quella occasione siamo riusciti a farla parlare di sé, se non per piccoli episodi. Anche tra la sue carte dopo la sua morte non trovammo molto: tesserini partigiani, documenti di riconoscimento della sua attività di partigiana, attestati di stima e riconoscenza dei suoi ex commilitoni e pochi fogli di un diario molto essenziale su quegli anni.
Quello che ti racconterò su di lei in parte deriva da quanto detto sopra e in parte da documenti raccolti in seguito anche con le attività presso la Casa della Resistenza e probabilmente rappresentano solo una piccola parte di quello che effettivamente ha compiuto. Un vecchio partigiano di Stresa ogni volta che lo incontro alle commemorazioni mi dice “Ah, la zia, il Ginin, ha fatto molto … ha fatto molto!”.
Gli Ottolini a Stresa
Il cognome Ottolini è molto diffuso a Stresa. Sembra che abbia origini nel X secolo quando Ottone I stazionò con le sue truppe sul Lago d’Orta: i figli naturali di quelle truppe sembra fossero chiamati Ottolini, ovvero i “piccoli di Ottone”. Cognome infatti diffuso sul Mottarone e sul suo versante verso il Lago Maggiore, isole comprese. La studiosa di storia stresiana Vilma Burba dice infatti che:
“Ottolini è un nome di tutto riguardo per Stresa che ha annoverato dal 1617 ben sei sindaci con quel cognome, l’ultimo dei quali fu proprio Eugenio il papà di Giannina”[2].
Il sindaco Eugenio Ottolini
Avv. Eugenio Ottolini
Eugenio Ottolini, mio nonno, era nato a Stresa nel 1862 da Agostino e da Teresa Bolongaro. Laureato in Giurisprudenza a Torino nel 1885, esercitò quale avvocato presso il tribunale di Pallanza. Per venti anni fu Sindaco di Stresa con tre successivi mandati dal 1894 al 1913. In tale veste partecipò a partire dal 1897 al Comitato per la linea di raccordo al Sempione Arona-Gravellona, nato per ottenere un collegamento diretto fra Milano e la galleria del Sempione, che si stava costruendo in quegli anni, in alternativa alla linea, verso Genova, Gozzano – Domodossola che penalizzava i paesi lacustri e aveva mostrato criticità per i trasporti pesanti.
Fu inoltre Sindaco della Società Ferrovie del Mottarone che gestiva la ferrovia a cremagliera Stresa – Mottarone, iniziata nella primavera 1910 e ultimata nel luglio 1911.
Aveva sposato in secondo matrimonio Maria Mascarini, originaria di Baveno, ed ebbe tre figli: Teresa, Giovanna (Giannina) e mio padre Augusto. Aveva poi trasferito la sua residenza e il suo studio di Avvocato a Pallanza per essere più vicino al tribunale che era allora collocato in Via Cadorna nei locali oggi occupati dall’Archivio di Stato.
Il nonno Eugenio morì all’Alpino, sopra Stresa, a 73 anni nel 1935.
Giannina Ottolini: studi e attività di Crocerossina
La zia era nata a Pallanza nell’aprile del 1904 e aveva studiato fino alla V Ginnasio; la sua vocazione fu poi quella di infermiera iscrivendosi pertanto al primo e al secondo corso di Infermiere della Croce Rossa ottenendo in entrambi i casi il diploma con il massimo dei voti e operando tra il 1935 e 1938 come infermiera all’Ospedale di Pallanza.
Venne poi nominata direttrice della Colonia estiva della Croce Rossa Novarese a Marina di Massa (estati del 1938 e 1939) e dall’ottobre del ’38 viene nominata responsabile delle infermiere volontarie che facevano capo alla CRI di Pallanza. Con questa funzione organizzava i corsi di formazione per le infermiere volontarie. In questi stessi anni operava come Assistente Sanitaria presso l’OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) con la responsabilità di sei consultori tra Baveno e Arona.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la Croce Rossa si impegnò per la assistenza di feriti e ammalati provenienti dai fronti della guerra: per far fronte alle nuove esigenze si organizzarono molti corsi per infermiere volontarie.
A Pallanza Giannina tra il 1939 e il 1945 organizzò infatti tre corsi.
A Baveno venne aperto un ospedale militare con tre sedi in alberghi requisiti: il Sempione, il Bellavista e il Lido. I feriti provenivano in particolare dal fronte greco e da quello jugoslavo. La zia fu nominata coordinatrice responsabile delle infermiere volontarie della CRI che operavano nell’ospedale militare plurisede di Baveno, dall’agosto 1941 sino al luglio 1945.
Dopo l’armistizio dell’8 Settembre del 1943 la zia riuscì anche a far curare di nascosto partigiani feriti o ammalati. Tra i medici che operavano negli ospedali militari di Baveno vi era anche il dr. Chiappa che faceva parte del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Verbania.
Scrive la zia nei suoi appunti:
“Sino dal settembre 1943 con le Infermiere Volontarie della C.R.I. alle mie dipendenze, in servizio all’Ospedale Militare Territoriale di Baveno, avviavo quei militari guariti che non intendevano prestare servizio nella Repubblica Sociale, procurando loro abiti civili, presso famiglie amiche o, per la maggior parte avviandoli sul Mottarone alla ricerca di compagni a cui unirsi aiutati frattanto dagli alpigiani.”
La Brigata partigiana Stefanoni e i fratelli Boeri
Sul Mottarone nuclei di partigiani erano già presenti, subito dopo l’8 settembre, nella zona fra Gignese e Massino Visconti. Con un lancio paracadutato nel Marzo del 1944 Enzo Boeri e due tecnici diedero vita ad un stazione radio clandestina che collegava il CLN di Milano con i servizi informativi alleati presenti in Svizzera.
Questo il racconto di Giannina in una sua nota scritta a mano:
“Un ufficiale medico [Enzo Boeri], di vecchia tradizione antifascista, già prigioniero degli alleati, prende accordi con questi e si fa paracadutare con due tecnici inglesi e una radio ricetrasmittente tra i boschi e le ville sopra Stresa per iniziare un collegamento tra le forze antifasciste e gli alleati sbarcati in Italia. Tale collegamento si svolgerà tra il C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale) della Lombardia sede Milano e gli alleati. Staffette giornalmente portano ordini, notizie ecc. tra Milano e Stresa. Il primo nucleo trasmette da una villa ai confini di Stresa, poi si sposta, per sicurezza, nella zona sopra Gignese e attorno a esso si raggruppano elementi isolati, altri che salgono sui monti in seguito e si forma la Brigata Stefanoni e Abrami della Divisione Valtoce.
Le radiotrasmittenti in seguito diventano tre coi loro tecnici e i loro uomini di protezione e difesa, dislocate a breve distanza da una vecchia miniera abbandonata di piombo; tale zona fu scelta a proposito: per quante incursioni vengano fatte dai nazifascisti per catturarle, non riescono mai a localizzarle,”
Nel luglio i gruppi di partigiani del Mottarone si riunirono nella Brigata Stefanoni inquadrata nella divisione Valtoce. Dopo la morte del primo comandante, tenente Angelini, il comando fu assunto da Renato Boeri (Renatino), fratello di Enzo[3]. La brigata, con l’aumento delle reclute, si suddivise dando vita alla nuova brigata Abrami dislocata sul versante ovest del Mottarone. Nel dicembre Boeri inquadra la Stefanoni nelle formazioni Giustizia e Libertà.
Dopo la liberazione di Stresa e di tutto il territorio Alto novarese (24 Aprile 1945) le due formazioni si diressero a Milano per contribuire alla sua liberazione.
Mia zia era molto legata a “Renatino” Boeri e tra le sue carte era costudita la copia di due documenti che lo riguardavano; quando il figlio Tito, presidente dell’INPS, era alla Casa della resistenza per un convegno, ha potuto ascoltarne commosso il contenuto[4]. Si tratta della chiamata alle armi da parte del distretto di Milano e della splendida risposta che Boeri diede su carta intestata della sua brigata. È un importante documento che ti leggo integralmente perché aiuta a capire qual è stato lo spirito e i valori della resistenza.
Distretto Militare di Milano I° (23)
Al Sig. Boeri Renato, Via Sandro Sandri 1
Città, Milano li 27 Novembre 1944, (classe 1922)
“Siete tenuto a presentarvi a questo Distretto il giorno 5 Dicembre nelle ore antimeridiane per essere avviato alle armi.
Non ottemperando al presente invito, questo Distretto provvederà alla denuncia per il reato di renitenza.
Il maggiore Capo Ufficio (… Faiella)
Divisione Patrioti “Valtoce” Sede 1 febbraio 1945
La vita per l’Italia
VIIa Brigata Paolo Stefanoni
Al maggiore Faiella capo ufficio reclutamento e matricola
Distretto Militare Milano I. (23)
“Egregio maggiore,
Con mia somma meraviglia ho ricevuto un biglietto da Lei firmato in data 27/11/44 con cui mi si ingiunge di presentarmi a codesto distretto per essere avviato alle armi.
Sino a prova contraria Le posso rispondere che io mi trovo alle armi quale volontario in forza presso codesta divisione di patrioti dal marzo 1944. Data la mia funzione potrei quindi anch’io, a mia volta, mandare a Lei un biglietto dello stesso tenore. Ma noi siamo molto lontani non solo di chilometraggio ma anche di spirito. La invito quindi ad un serio esame di coscienza: servirà, se non altro, ad una notevole economia di carta, perché sono convinto che Lei non insisterà più nello spedire avvisi di tal genere al mio indirizzo di Milano. Io L’attendo invece qua, in montagna, dove l’aria è pura, la salute ottima è dove si fa l’Italia libera.
Mille cari saluti, egregio maggiore, a Lei e al suo poco numeroso distretto.”
Il Comandante di Brigata, Renato Boeri
“Ginin”: la partigiana
È nel Marzo del 1944 che la zia, sapendo che alcuni barcaioli di Stresa erano in contatto con i partigiani del Mottarone, chiede tramite uno di loro, di poterli contattare. L’incontro avvenne presso il collegio Rosmini, sopra Stresa. Grazie alla sua libertà di spostamento per suo lavoro di infermiera e di responsabile dei consultori OMNI, i due comandanti della brigata Stefanoni le assegnarono il ruolo di responsabile del servizio informazioni della brigata.
Dall’Aprile del 1944 Giannina è a tutti gli effetti partigiana con il nome di battaglia “Ginin”.
Oltre al ruolo informativo, trasferimento di dispacci, informazioni, stampa e altro materiale clandestino, in più occasioni esercitò il ruolo, per lei naturale, di infermiera, curando partigiani feriti salendo, anche di notte, sul Mottarone.
Nei suoi appunti ricorda in particolare il partigiano Franz ferito, che era necessario operare al più presto:
“Lo portarono alla villa dei Pariani, ove il figlio studente del secondo anno di medicina era sempre disposto ad aiutare. Mi chiamano e nella notte lo operiamo togliendogli un proiettile dalla coscia; ricucitura, disinfezioni, ipodermoclisi, e via in una casa amica per la cure e la convalescenza.”
Quando fu arrestato Renato Boeri, si attivò per la sua liberazione; ecco il suo racconto:
“Il 29 Novembre 1944, durante il rastrellamento tedesco del comandante Krumer, seguito alla cattura da parte dei nostri di due tecnici tedeschi e un italiano muniti di radiogoniometri alla ricerca delle ricetrasmittenti, fu ucciso Fachiro e catturati Renato e altri quattro partigiani avviati subito all’ Albergo Bella Vista di Baveno, carcere ed alloggio delle S.S. alle dipendenze del Comandante Stamm. Chiamato subito un sacerdote, Don Ettore di Stresa, per le trattative per lo scambio con Krumer e Stamm, io salii alla ricerca di partigiani ancora nascosti, per gli accordi sia della ancora esistenza in vita degli ostaggi, sia del luogo ove erano stati mandati. Per le trattative occorsero parecchi giorni, e una sera, nell’ uscire dal cancello di Villa Boeri ove ci eravamo trovati coi Borroni, Antonia Boeri, Popi e un altro partigiano, Don Ettore ed io fummo fermati da militi delle Brigate Nere, riaccompagnati alle nostre case con l’ordine, il mattino, di presentarci alla sede del Comando delle Brigate Nere. Interrogatorio avvenuto senza danni. (…)
Lo scambio avvenne felicemente come si sa ad Omegna.”
Grazie alla sua divisa di crocerossina, che di giorno indossava sempre, poteva muoversi liberamente, col battello tra Pallanza e Stresa o in bicicletta tra Baveno e Arona, passando indenne i posti di blocco. Anche durante la liberazione dell’Ossola (settembre-ottobre 1944) riuscì a entrare nella “Repubblica” per stabilire i contatti fra le formazioni. Riuscì, talvolta, anche ad usufruire di passaggi da parte delle truppe occupanti come nell’ episodio da lei ricordato:
“Un pomeriggio vengo avvertita da una staffetta di andare il più presto possibile a Villa Lesa in casa di Cefis ove la moglie di Alberto mi aspetta. È quasi buio, siamo in autunno e ho bisogno di un mezzo di fortuna che trovo nell’ automobile di due ufficiali tedeschi all’ interprete dei quali, sceso per acquisti in farmacia, chiedo un passaggio per Villa Lesa ove ho la sede di un Consultorio O.N.M.I.
Arrivo, la moglie di Cefis raggiante mi apre la porta di casa ove trovo Alberto arrivato dalla Svizzera attraverso il lago con una lunga remata notturna. Vuol sapere cosa è avvenuto sul Mottarone nel frattempo e mi incarica di avvertire Renato del suo arrivo.”
Si arriva all’ Aprile del 1945 con gli ultimi eventi concitati che portano alla liberazione del territorio:
“24 aprile discesa al piano dei Partigiani per occupare Stresa. Come al solito il mattino alle 7 arriva da me Carluccio con ordini e informazioni, ma oggi mi dice di scendere subito sul lungolago che i nostri stanno arrivando. Trovo Aniceto coi suoi che punta le armi contro 4 o 5 barche di colme di militi fascisti che già al largo stanno avviandosi sull’ altra sponda; devo, dietro segnalazione di un uomo, avvertirlo di desistere perché su ogni barca c’è un barcaiolo come ostaggio.
Andiamo all’ albergo Regina per consegnare ai proprietari, nostri amici, l’ordine di trattenere nelle camere gli ospiti quasi tutti caporioni fascisti qui alloggiati, e lascio uomini armati.”
È sempre in quel giorno che la zia riconosce il tenente Helmut Günter, comandante del presidio di Meina che probabilmente stava cercando di unirsi alla “colonna Stamm” posizionata a “Baveno”.
“Lascio Aniceto e incontro Lupo, due parole e arriva una camionetta tedesca. Lupo la ferma e tutti e due riconosciamo Günter il vice comandante di Stamm delle S.S. con due soldati; viene disarmato e con uomini di Lupo avviato sul Mottarone quasi sguarnito di uomini ma dove Tino vigila con i suoi e lo fa prigioniero.”
Passata la colona Stamm, con in vista partigiani prigionieri per impedire azioni armate e defluire verso Novara dove si arrenderà, a Stresa si può finalmente festeggiare la avvenuta liberazione. La zia è in prima fila nel corteo dei partigiani che sfila lungolago ed è immediatamente distinguibile, con la sua divisa di crocerossina, nella folla che sotto il municipio ascolta il discorso del comandante Renato Boeri.
Il dopoguerra
Dopo il 25 Aprile nei comuni, in attesa delle regolari elezioni, vennero costituite delle giunte provvisorie, le cosiddette “Giunte della Liberazione”. A Stresa la giunta venne riunita dal sindaco Giuseppe Zanone e la zia Giannina ne fece parte il quale assessore alla Assistenza e alla Beneficenza. Fu così la prima donna ad assumere a Stresa un ruolo pubblico. Rimase in carica fino all’ Aprile del 1946 quando, in seguito alle elezioni del 31 Marzo, venne istituito un Consiglio comunale e una giunta regolarmente eletti.
Nella sua attività di infermiera fu nominata del dopoguerra Ispettrice generale della Maternità e Infanzia del Verbano. Continuò a occuparsi delle infermiere volontarie della Croce Rossa con il ruolo di Ispettrice presso il Comitato di Pallanza fino a quando questo fu soppresso nell’ Aprile del 1967 per mancanza di nuove volontarie.
Dopo alcuni anni di attività artigianale, una piccola sartoria collocata nel sotto tetto della sua casa in via Al Castello, lavorò fino all’età della pensione nella segreteria della Scuola di Avviamento, poi Scuola Media, di Stresa.
Cattolica praticante e Terziaria francescana, visse in modo riservato e laico la sua fede; politicamente durante la Resistenza era vicina al Partito Azionista e, nel dopoguerra, al Partito Socialista.
Sempre legata alle iniziative delle Associazioni partigiane, collaborò al reperimento della documentazione per il Museo Alfredo Di Dio di Ornavasso.
Morì pochi giorni dopo il suo 93° compleanno; riposa nel cimitero di Stresa nel loculo collocato accanto ai famigliari (genitori, zia paterna e fratello).
Al suo funerale, presenti le delegazioni partigiane e il gonfalone del Comune di Stresa, venne letta, per suo esplicita volontà, la “Preghiera del ribelle” di Teresio Olivelli.
Si certifica che la Sig.na Gianna Ottolini fu Eugenio è stata alle dipendenze di questa Divisione nella VIIa Brigata G.S. Paolo Stefanoni dal Marzo 1944 al Giugno 1945 in qualità di Capo del servizio informazioni della Brigata stessa.
Essa è conosciuta a questo Comando come elemento attivissimo che diede tutto di sé per il raggiungimento dei compiti destinati a Lei. La VIIa Brigata, che ha il vanto di avere organizzato un servizio di informazioni che le riuscì tanto prezioso e che riscuoté il riconoscimento ed il plauso del Comando Generale e della Missione Americana dislocata in Zona Ossola, deve all’ Opera instancabile e felicemente realizzatrice della Signorina Ottolini questo primato.
Essa (nome di battaglia “Ginin”) ha in corso la pratica per il riconoscimento partigiano e per l’accordo di una decorazione al valor partigiano per il suo nobile e coraggioso comportamento.
In fede
Il Comandante la Brigata Stefanoni
Renato Boeri
10. Testimonianza di Giorgio Buridan e un ricordo di Renato Boeri
Estratto da “I camionisti della Rumianca”, di Giorgio Buridan
(in: Fatti e persone nella mia vita. Inedito)[5]
Luglio 1943: dopo la caduta del fascismo, il Governo militare Badoglio combatteva ogni forma di opposizione democratica. Mentre gerarchi e gerarchetti circolavano tranquilli, molti esponenti antifascisti – dai liberali ai comunisti – venivano arrestati o, comunque, diffidati dal prendere posizioni contrarie al Regie Militare. A quel momento ero già entrato nella Resistenza: presentato, subito dopo il 25 luglio, dal mio amico Renato Boeri a Ferruccio Parri, avevo avuto da questi l’incarico di costituire un Servizio di distribuzione della stampa clandestina nella zona del Lago Maggiore e, in seguito, nel Cusio e Ossola.
Mi ero dato da fare con amici, ma non era facile perché, dopo l’arresto di un avvocato di Pallanza, tutti avevano paura. Tuttavia, alcuni avevano aderito e ci stava dando da fare. Gli inizi erano stati goliardici e giocosi. Avevamo ricevuto manifestini antibadogliani e li attaccavamo alle piante, ai muri, dovunque. I passanti li guardavano con diffidenza anche se si intuiva che erano d’accordo. Poi arrivavano i carabinieri e facevano sparire i manifestini. Noi aspettavamo che si fossero allontanati e poi li riattaccavamo allo stesso posto. Un giorno mi aveva preso sul fatto un maresciallo, con minacce di denuncia, ma nemmeno lui pareva troppo convinto e così era tutto un gioco.
Intanto, ero riuscito a convincere una persona che sarebbe stata utile: la signorina Ottolini, di professione infermiera diplomata e perciò munita di lasciapassare che l’autorizzava a circolare anche dopo le ore di coprifuoco (ore 19). Inoltre, essendo infermiera andava al lavoro con il battello e poteva così portare con sé un certo numero di copie da distribuire ad altri fidati amici che, a loro volta, le avrebbero fatte girare.
Io, invece, usavo la bicicletta perché era il mezzo migliore per non essere notati. Avevo un portapacchi a molla sul manubrio e “pinzavo” un buon numero di copie strettamente arrotolate.
Dopo circa un mese dall’invito di Parri – anzi mi piace chiamarlo come allora “Maurizio” o “lo zio” – la mia rete di distribuzione funzionava molto bene e ne ero orgoglioso. Intanto però la situazione andava facendosi pericolosa: non era più il tempo scherzoso dei manifestini antibadogliani, si era in clima di fascismo e si era formata la Repubblica di Salò. E qui comincia la storia dei miei amici ai quali dedico questa memoria: gli eroici camionisti della Rumianca.
Quasi ogni giorno a Milano, un delegato del Comitato di Liberazione (CLN), che non conoscevo, contattava uno dei camionisti di turno che rientrava, dopo la consegna del carico, a Villadossola.
All’autista venivano affidate, secondo le disponibilità delle tipografie clandestine, alcune centinaia di copie di giornali: Italia Libera, Unità, Avanti, Risorgimento Liberale e altri.
Le copie venivano nascoste in un ripostiglio sotto il cruscotto per essere “lanciate” ad una data ora in un luogo prestabilito.
Il posto era a due chilometri da Stresa, lungo un rettilineo che costeggiava il lago tra una siepe di cespugli.
L’incaricato del ritiro dei giornali doveva trovarsi sul posto all’ora precisa del passaggio del camion (cosa difficile perché potevano esserci ritardi o anticipi, secondo il traffico lungo il percorso). Quindi, era necessario appostarsi “a monte” del punto X e aspettare che il camion passasse lanciasse. Soltanto allora, assicurandosi che nessuno avesse assistito, si raggiungeva il cespuglio dove il fascio di giornali era caduto, lo si attaccava al portapacchi sul manubrio e via.
Ma poiché talvolta le consegne non erano di un solo camion ma di due, arrivava una telefonata: “Questa sera saremo in due a cena”, e un’altra persona doveva aggiungere il posto prestabilito. Infine, recuperate tutte le copie, ci si trovava, ogni volta in abitazioni diverse, per fare lo smistamento.
Eravamo in tre a “conoscerci”: io che dirigevo il Servizio, il mio compagno Aniceto e l’infermiera Ottolini. Gli altri che facevano le consegne non sapevano tutti i nomi, misura prudenziale già adottata dalle vecchie cellule del Partito Comunista Italiano.
(…)
Il Servizio di distribuzione andò avanti per tre mesi…
Finché un giorno… L’arresto di un elemento liberale di Pallanza sconvolse i piani. Tralascio il nome di questo arrestato: era un degno professionista che, al momento di essere fermato con le copie in tasca, si prese paura e, portato a Novara alla caserma delle Brigate nere, con minacce di botte e tortura, rivelò i nomi che conosceva. Per fortuna non molti, data la nostra prudenza di isolare ogni cellula.
Però ci furono numerosi arresti. Io riuscii non so come a scamparla. Ma avevo il dubbio che il mio nome fosse stato segnalato e che aspettassero il momento adatto per arrestarmi e poter prendere altri.
A Milano, chiesi consiglio sul da farsi. Era incerto, dibattuto tra l’importanza che il Servizio continuasse a funzionare e il pericolo che correvo. Mi chiese, molto esplicitamente, se me la sentivo di rischiare. Risposi di sì ma che ero preoccupato per i compagni più vicini. Allora mi comandò di passare tutte le consegne all’infermiera Ottolini, che avrebbe diretto il Servizio, e mi ordinò di raggiungere al più presto in bassa Val d’Ossola, la costituenda formazione “Valtoce” con il grado di Commissario Politico di Brigata per il Partito d’Azione.
Si concluse così il mio Servizio al quale avevo lavorato tanto.(…)
Il testo è parzialmente riportato in Giorgio Buridan, …in cielo c’è sempre una stella per me …, Tararà, Verbania, 2014, p.28.
Da qui anche questo ricordo di Renato Boeri:
Renato Boeri così si rivolge ai presenti a Coiromonte nel suo discorso commemorativo del 25 aprile 1975: “…ricordate amici e compagni partigiani … quando la Ginin o il vecchio pà Mena ci portavano dall’ Alpe Formica ai nostri rifugi nascosti il pane, la polenta e le castagne affumicate per sopravvivere …”[6] .
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[1] Classe 1aB, Scuola Media Monti Stella, Verbania Pallanza, a. s. 2018-2019.
[2] “Madama Bolongaro e le Donne di Stresa. Ricostruzione storica”, reperibile sul web: qui.
[3] Sui fratelli Boeri cfr. Enzo Boeri, Renato Boeri; sull’attività della Stefanoni cfr. in particolare le tre puntate de I ribelli della Presa pubblicate sull’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola.
[4] Cfr. La sorpresa della Casa della Resistenza a Boeri è il ricordo del padre partigiano.
[5] Fattomi precedentemente pervenire da Maria Silvia Caffari, che qui ringrazio.
[6] L’insieme delle informazioni riportate sono a pag. 28 e 29 (note 11 e 12). Il testo di Buridan è curato da Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi.
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Mario Greppi, Mariolino, Eugenio, (Milano 1920 – 1944); figlio di Antonio, anch’egli partigiano e poi il sindaco della rinascita di Milano, e Bianca Mazzoni; la famiglia originaria di Angera.
Dopo la Maturità classica conseguita al Liceo Beccaria nel 1939, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza che gli riconoscerà la laurea Honoris causa. Molti i suoi interessi, sue passioni sono la barca a vela sul lago, il volo a vela e a motore all’aeroporto di Taliedo, che lo porta ad ottenere il brevetto di pilota civile. Richiamato a Orvieto al Corso di allievo ufficiale, dopo il congedo si dedica all’arte del cinema, segue il corso di regia; un suo cortometraggio La fanciulla del bosco girato ad Arolo, vince nel 1942 il Campionato nazionale universitario alla Mostra Nazionale di Udine per il film sperimentale del passo ridotto. A gennaio del ’43 è richiamato a Fano (Pesaro-Urbino). L’8 settembre lo trova sottotenente pilota al corso di specializzazione dei caccia nella Scuola di Aeronautica Militare a Ghedi (Brescia); gli ufficiali subito dileguatisi in aereo, Mario fugge in camion con altri compagni, dopo aver tentato una resistenza ai tedeschi. Si rifugia ad Angera, dove si trovano la famiglia e gli amici antifascisti. Per le formazioni Matteotti entra nella rete degli informatori e della stampa clandestina; sua compagna indivisibile era la bicicletta, scriverà il padre Antonio in Il bravo ragazzo.
Il ragazzo Greppi cresce in un ambiente antifascista e allo stesso tempo profondamente religioso; il padre Antonio, socialista, è arrestato due volte e portato a San Vittore, dove passerà otto mesi in cella di isolamento nel 1938 e alcuni giorni nel 1940; dovrà rifugiarsi in Svizzera, da cui ritorna attraverso la montagna entrando come Commissario di guerra nell’Ottava brigata Matteotti.
Alla fine del giugno 1944, i due giovani Mario Greppi e Giorgio Buridan, inviati dal Comando Alta Italia, giungono, insieme a Eugenio Cefis, in Ossola al comando di Alfredo Di Dio, ambedue come Commissari politici, Mario per i Socialisti, Giorgio per il Partito d’Azione; commissari di brigata, ‘commissari di guerra’, Giorgio al Mottarone, Mariolino in Val d’Ossola.
Sono i due ‘commissari’ a partecipare alle trattative per l’unificazione delle due formazioni Valtoce e Valdossola, recandosi a nome della Valtoce a Colloro, sede di Dionigi Superti, comandante della Valdossola. Giorgio, a cui si devono le maggiori informazioni su quei giorni, narra nel suo diario In cielo c’è sempre una stella per me, dell’ultima sera trascorsa insieme sulla terrazza sotto le stelle a parlare di arte e politica. Il giorno dopo, il 21 agosto 1944, Mariolino scendeva, per raggiungere Milano con documenti importanti per Il Comando generale. Diversi i racconti, con alcune varianti, sugli ultimi fatti che precedettero la morte di Mariolino il 23 agosto. Mario, forse a seguito di una spiata, viene sorpreso con i suoi importanti documenti, arrestato. Riesce a sottrarsi a uno stratagemma in cui i fascisti dell’Ovra vogliono far cadere anche i destinatari dei documenti, mentre cerca di raggiungere la sua abitazione, viene colpito da un agente. Muore dopo due giorni in ospedale.
Antonio Greppi apprende la morte del figlio mentre è in Svizzera.
A Milano, in via San Michele Del Carso, al numero 5, una targa, scoperta a un anno dalla sua morte, ricorda Mario Greppi, con un bassorilievo dello scultore Affer, il volto di Mario in una cara espressione di precoce responsabilità, parole del padre Antonio Greppi, da Risorgeva Milano (1945-1951) (Ceschina, Milano 1953). Di quel giovane dalla straordinaria personalità, i cui ideali si riassumono nella scelta partigiana, poco sembrerebbe essere stato scritto, e troppo poco per conoscerlo è quella targa, mentre spiragli di interesse aprono i ragazzini della Scuola elementare Antonio Greppi di S. Donato Milanese scrivendo nel loro sito internet: Nessun libro gli dedica nemmeno una parolina, ma da quando lo conosciamo, ogni bambino della Scuola fiero a lui s’inchina. Viva Mario Greppi, Viva i Partigiani! È grazie ai loro morti che siamo ancora italiani. La pubblicazione nel 2014 del diario partigiano In cielo c’è sempre una stella per me… di Giorgio Buridan, si traccia il ritratto di Mariolino, si descrivono momenti di esaltante comunicazione tra i due ragazzi, con i loro discorsi sulla cultura, l’arte, la politica, e l’impegno dei giovani nel presente e nel futuro. In quelle pagine si svela un particolare affetto e grande ammirazione per quel compagno di giorni eroici, a cui l’autore divenuto scrittore dedicherà altri scritti, a partire dalla memoria che ne fa sul giornale Valtoce (nel maggio, e nel giugno 1945), durante i giorni della liberazione di Milano. Ed è proprio durante le ricerche per le annotazioni alla pubblicazione del diario di Buridan, che avviene la scoperta di libri scritti dal padre Antonio, in cui scopriamo chi era Mario Greppi, libri mai ripubblicati, reperiti in librerie antiquarie, Il bravo ragazzo pubblicato nel 1951 è tutto lui, Mariolino.
Scrive Giorgio, nella sua memoria per il Valtoce: Era un bel ragazzo di 24 anni, alto, molto distinto. Aveva un bello sguardo acceso e vivo e si esprimeva con eleganza di modi e con un leggero accento lombardo…. Fu lui a propormi di stringere amicizia. Risposi che ci tenevo molto a discutere con più calma le sue idee politiche…segue il racconto con la descrizione di Alfredo Di Dio che si diverte a ad assistere alle animate discussioni tra i due ragazzi, che paragona a due galletti.
I due ragazzi passano una memorabile sera sotto le stelle a Colloro. L’indomani Mariolino sarebbe partito per Milano, con documenti importanti.
L’appuntamento era con il comandante delle Matteotti Corrado Bonfantini. Il racconto dettagliato di quei momenti si trova nel libro di Antonio Greppi, Il bravo ragazzo (pp.167-169): al momento di ricevere un pacco di giornali clandestini, agenti in borghese della squadra politica dell’Ovra, Mariolino veniva arrestato, portato all’Ufficio di Polizia; intanto dal bar di fronte, dove era previsto l’incontro, Corrado Bonfantini, capita la situazione, riesce ad allontanarsi.
poiché i documenti che aveva indosso dimostravano com’egli fosse collegato coi capi del movimento cospirativo, si era tentato uno stratagemma. Agenti erano andati a casa e, raccogliendo una telefonata, s’erano illusi di imitare la sua voce, fissando con l’interlocutore un incontro al bar Motta, in Piazzale Baracca. E così era stato accompagnato là all’ora stabilita, senza che apparisse sorvegliato. Ma egli che aveva intuito il giuoco troppo ingenuo, approfittando appunto del distacco dei suoi custodi, aveva tentato la fuga e si era aggrappato a una vettura della circonvallazione nell’attimo dell’avvio. Il conduttore, informato da lui stesso della verità, aveva accelerato al massimo la corsa, ma subito la vettura era stata inseguita dagli agenti e dai militi che si erano appostati numerosissimi nei dintorni. Coraggiosissimo, il tranviere, si proponeva di insistere malgrado la sparatoria che ormai si propagava, ma egli, temendo per lui e per i passeggeri, si era gettato dalla piattaforma con un balzo temerario proprio davanti alla nostra casa (Via S. Michele del Carso). Un giovane brigatista, che si trovava a pochi passi, gli aveva sparato a bruciapelo, colpendolo in pieno petto. Era caduto come morto, ma trasportato subito all’ospedale si era riavuto. La pallottola gli aveva perforato un polmone e le sue condizioni non apparivano disperate. Ma egli, ben conoscendo l’importanza dei documenti caduti nelle mani della polizia politica, non si faceva illusioni per la propria sorte. E al medico, che primo si era occupato della sua ferita, aveva detto ch’era meglio lasciarlo al suo destino. Con una serenità miracolosa. Ma lo stesso sanitario e le infermiere di quel padiglione l’avevano incoraggiato a sperare, facendogli premurosamente intravvedere la possibilità di una fuga. …. Fu lieto della notizia che il giorno dopo lo avrebbe visitato la mamma. Ma Bianca arrivò che egli era appena spirato. Qualcuno che era nella squallida sala mortuaria vide la mamma inginocchiarsi silenziosamente davanti al suo corpo esamine e pregare senza lacrime. – Sembrava, - mi confidò più tardi, - di assistere alla ‘Deposizione’ -. Così se n’era andato, con la stessa semplicità con la quale aveva vissuto, il bravo ragazzo. … L’indomani del suo arresto le formazioni del Cusio e dell’Ossola, in una gara epica, avevano catturato con operazioni audacissime ufficiali e soldato tedeschi. E un nobile prete della montagna era corso a Milano per offrire il cambio. Ma era troppo tardi.
In Dieci vite in una sola (L’Ornitorinco, Milano 2012) Bianca Dal Molin, nipote di Mario, a pagina 85 riporta la lettera che il 6 settembre 1944 Bianca Greppi scrive al marito in Svizzera per informarlo della morte del figlio, una straordinaria lettera, che un giorno le mamme italiane dovranno conoscere, così ha scritto Antonio Greppi in Il bravo ragazzo, cit., p.167
Per saperne di più:
- Antonio Greppi, Lunga lettera a Bianca, Ceschina, Milano 1967
- Antonio Greppi, Il bravo ragazzo, Ceschina, Milano 1951
- Antonio Greppi, Risorgeva Milano (1945-1951), Ceschina, Milano 1953
- Antonio Greppi, Gli anni del silenzio e del coraggio: Pagine della Resistenza per i giovani. Ceschina, Milano 1965, pp. 232-233
- Enrico Massara, Il Matteottino, Milano 23 agosto 1944: Greppi Mario, in Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese: Uomini ed episodi della lotta di liberazione, Ist.St. Resistenza, Novara 1984, pp. 324-326; [Massara ha raccolto notizie dalla lettera invitagli dalla sorella Enrica Greppi Bobba]
- Corrado Bonfantini [testimonianza raccolta da Enrico Massara in un articolo per] Il Giorno, del 25 aprile 1979
- Corrado Bonfantini, Le Matteotti, in Marcurio, n. 16 Anche l’Italia ha vinto, Mercurio, dicembre 1945, p. 76
- Giorgio Buridan, In cielo c’è sempre una stella per me: Diario di guerra partigiana / a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, Tararà, Verbania 2014
- Giorgio Buridan, Mario Greppi, in Valtoce: volantino della 1° Divisione del Raggruppamento Divisioni Patrioti Cisalpine Alfredo Di Dio, Milano 4 e 5 Maggio 1945, riproposto in unico numero 11, 1 giugno 1945
- Edgarda Ferri, L’alba che aspettavamo: Vita quotidiana a Milano nei giorni di piazzale Loreto 23-30 aprile 1945. Mondadori, Milano 2005; pp. 117-118
- Bianca Dal Molin, Dieci vite in una sola, L’Ornitorinco, Milano 2012
- Alessandra Dal Molin de Bernardi, Felice come un fringuello, inedito, Ghiffa 2014
- Alessandra Dal Molin de Bernardi, Troppo dentro il mio cuore: Le poesie-diario di Bianca [Bianca Mazzoni, mamma di Mario Greppi], dal 1944-1945, inedito, maggio 2020.
Guido De Carli, nato a Cornaredo nel 1923, trasferito presto a Cuggiono, è uno dei ragazzi di Don Albeni , splendida figura di sacerdote educatore alla libertà , coadiutore dell’oratorio che ha indirizzato allevato una schiera di resistenti : Angelo e Pinetto Spezia, Bruno Bossi, Gianangelo Mauri , Giovani Marcora.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si costituiscono tra Cuggiono e Inveruno e zona i primi gruppi partigiani: tra questi esponenti anche Guido, che sarà un importante figura all’interno delle neonate formazioni, che appena organizzate diventeranno la Gasparotto (e la Ticino per stare solo in zona). Formazioni al piano, di supporto logistico e organizzativo alla Resistenza: salgono i giovani a Pian Cavallo (per indicazione di Nino Chiovini, residente a Cuggiono ma proveniente da là) e poi in Val d’Ossola e Val Toce: frequenti continui scambi anche con Busto, dove Luciano Vignati tiene le redini ed il collegamento di tutta la Resistenza.
E Guido funge da staffetta –coordinatore, in quanto essendo minuto e un po’ cagionevole viene ricoverato nella casa di cura a Miazzina ma deve effettuare analisi e verifiche all’ospedale di Busto Arsizio. Ottiene così un lasciapassare di potersi muovere liberamente dalla Val Grande a Busto. Il suo soprannome partigiano è Ranin (ranetta), ragazzo esile.
L’imprimatur della Resistenza lo porterà ad impegnarsi per tutta la vita a favore degli ideali e dei valori di libertà e di pace. Nel settembre 1963 Albertino Marcora e Luciano Vignati fondano il Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio, per dare seguito all’esperienza nata come movimento militare nel dicembre 1944.E qualche anno dopo la modifica dello statuto del 1987, Guido succede a Cesare Bettini alla presidenza del Raggruppamento. Presidenza che terrà ininterrottamente fino al febbraio 2017. La sede si stabilisce in Via Espinasse dove si raccolgono via via tutte le testimonianze, i libri, i cimeli, le documentazioni della guerra partigiana.
Ma il suo impegno è anche impegno civile: assessore a Cuggiono, poi membro della direzione provinciale scudocrociata, economo all’Ospedale; negli anni ’60 è assessore a Turbigo, dove si è sposato con Agnese Lazzaroni, nella Giunta del sindaco Paratico; nel 1967 è segretario generale dell’ospedale di Bollate: nel 1992 è nell’ufficio di segreteria del presidente della Regione Lombardia Giuseppe Guzzetti.
Alla morte di Marcora nel 1983 saranno i partigiani della Gasparotto a portare il feretro: Guido è in prima fila, e sarà in prima fila per decenni come testimone attivo a tutte le manifestazioni organizzate dal Comune di Inveruno e dal Centro Studi Marcora: i vari premi europei, le ricorrenze degli anniversari, la presentazione di libri, le inaugurazione: lui e i suoi fazzoletti azzurri sempre numerosi e orgogliosi col loro medagliere onusto di riconoscimenti.
Ma il suo impegno era soprattutto rivolto ai giovani, che incontrava nei ricorrenti appuntamenti, sia alle Medie che alle Superiori della zona per ricordare e sottolineare l’importanza del rispetto e della trasmissione dei valori della Resistenza alle nuove generazioni.
Per le ricorrenze natalizie riempiva sempre il salone della sede di Via Espinasse. Dopo la S.Messa in ricordo dei partigiani caduti eseguiva la puntuale commemorazione dei deceduti nell’anno.
Il rapporto coi sindaci e le comunità locali, oltre a quelle di Busto, dell’Alto milanese e della valle Olona, cosi come quelle della Val Grande, della Val d’Ossola, Val Toce, Val Strona, Val Cannobina era una sua costante preoccupazione, per evitare di dimenticare o non presenziare alle varie celebrazioni, da quelle della Repubblica dell’Ossola alla Giornata del Ricordo dell’eccidio di Finero e della morte di Alfredo Di Dio o alle varie adunanze partigiane soprattutto al Boden di Ornavasso.
In occasione del 70° della Liberazione, nel novembre 2015 aveva organizzato una grande cerimonia in Comune a Busto per l’assegnazione delle medaglie ai partigiani e degli attestati a ciascun sindaco dei comuni dell’Alto Milanese, Valle Olona per” il contributo dato alla Resistenza e alla lotta per la Libertà e la Democrazia sul suo territorio “.
Col prefetto Giorgio Zanzi ed il sindaco Gigi Farioli aveva consegnato ancor fermo (per l’occasione aveva abbandonato il bastone che ormai aveva incominciato ad usare) le medaglie e gli attestati. Ma prima ancora ,nell’aprile aveva ricevuto a sua volta a Roma dal ministro Pinotti la medaglia d’onore come partigiano e come presidente della FIVL ,Federazione Italiana Volontari della Libertà ,presidenza che ha tenuto con capacità e competenza per oltre dieci anni ,dal 2008.Cosi lo ricorda il nuovo presidente Tessarolo, succedutogli all’inizio del 2017:”mi ha colpito la sua passione e la sua generosità, unite ad una costanza ed ad un impegno inarrestabili ,gli stessi tratti che accomunavano i protagonisti della Resistenza, tutti intransigenti verso se stessi prima che verso gli altri ,limpidi e diritti, liberi e intensi come recita la preghiera del Ribelle bel beato Teresio Olivelli”.
Da presidente del Raggruppamento aveva organizzato con un impegno continuo grazie anche all’aiuto del senatore Giampietro Rossi, il trasferimento della sede da Via Espinasse alla Casa del 900 ,Villa Tovaglieri, ma soprattutto la donazione al Comune di Busto di tutto il patrimonio digitalizzato del Museo Partigiano, ora disponibile su internet ,assieme a quello dell’altro museo del Raggruppamento , quello di Ornavasso (val Toce) ,due pietre miliari per la conservazione della storia della Resistenza .
In accordo con Mario Colombo aveva informato di tutte le iniziative, soprattutto quelle del 70°, gli amici della missione statunitense Chrysler Mangosteen, in particolare il tenete Icardi, il capitano Corvo e sottotenente Daddario e tutta l’OSS (Organisation Startegic Service) con una pergamena di ringraziamento (autunno 2016) che diceva “ I’m glad to transmit you a Thanking Parchment in memory of the help received in the Liberation of Italy-cooperating with our Resistenza “.
Negli ultimi tempi non riusciva più a tornare a Busto e dall’alto della casa sulla punta di una collinetta del comune di Premeno che spaziava su tutto il lago Maggiore ci incoraggiava comunque; voleva essere informato di tutte le iniziative e non si stancava di dare suggerimenti, con la voce sempre più incerta.
In giugno 2017 una rappresentanza del Raggruppamento, composta dal presidente e vice presidenti (Mainini,Vignati,Tosi,Mariani) gli aveva recapitato in una semplice cerimonia un attestato di ringraziamento “ in riconoscimento del contributo offerto alla lotta partigiana di cui ha condiviso i rischi e gli impegni diventando esempio di autentica educazione alla libertà e alla democrazia. E per la sua lunga appassionata, competente testimonianza dei valori della Resistenza alla guida per tanti anni fecondi del Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio e della FIVL-Federazione Italiana Volontari della Libertà”.
Con lui se ne va un pezzo di storia, della nostra storia comune.
Gianni Mainini
Presidente Raggruppamento
Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio